La vista dall’alto è come una trapunta di puntini. Sono persone. Sono giovani. Riempiono la spianata di Tor Vergata. Hanno negli occhi la gioia, l’allegria. Non è lo stordimento, la fuga cercate, in ogni modo, nei raduni rock. Sono lucidi, sono puliti. Sono il mondo in grado di fraternizzare, indipendentemente dalle bandiere (146). Hanno una fede, hanno la fede. Sono venuti per gli squilli di tromba del jabel, il gubileo. Un giubilo sano a dispetto del mondo che li circonda, del futuro precario, del pianeta incerto. Sono venuti per il nuovo grande padre, il papa Leone XIV. Risuona la parola tradita: la pace. Si parla di verità, di giustizia. Si rinnova il “chiasso”, miraggio che evocò Giovanni Paolo II molti anni fa. In un tempo in cui sembra prevalere il frastuono necroforo delle armi in Ucraina come in Palestina.
La disumanità degli ostaggi esibiti in pelle e ossa mentre si scavano la fossa. La disumanità degli assassinii di chi è sterminato mentre va a mendicare una ciotola di cibo. Oltre al funerale di 36.000 bambini. Da una parte la spada, dall’altra la croce. La risposta è affidata alla speranza, la speranza che questo fiume di giovani, dalla pelle diversa, possano trovare un unico alveo per lo scorrere pacifico del loro futuro. Da una parte le bombe, dall’altra la bomba umana di questa trapunta di testoline disarmate di sogni.